giovedì 30 aprile 2009

NUMERO VENTUNO

COME DICEVA LUBRANO…

Quando si capiscono le regole che governano la metropolitana, si capisce molto di un popolo e di una nazione. Era così a San Pietroburgo, dove tutto il vagone rideva in faccia alla svampita turista italiana che realizzava di esser stata derubata nel momento in cui saliva sul treno. Era così a Copenhagen dove la regola del lasciar scendere prima di salire non viene intaccata nemmeno da passeggini e biciclette, spostati con disciplina dagli schivi passeggeri che scelgono il posto più isolato e lontano dalle altre anime vive.

E’ così anche a Milano dove i locali camminano con celeberrima rapidità togliendo le scarpe ai neofiti prima di urtare sul solito gruppo che si perde di fronte allo svincolo tra Molino Dorino e Sesto, impallano il traffico di chi proviene dalla gialla. La metropolitana di Bucarest è invece uno spasso. Nemmeno il tempo di annunciare la fermata, che i passeggeri in discesa già fanno la danza maori: sanno che li attende una battaglia per scendere e non sono disposti a lesinare nemmeno un grammo di energia per centrare l’obiettivo. Dall’altra parte il rumore del treno che arriva è percepito come il suono del corno che precede la battaglia: i passeggeri in attesa sanno che li aspetterà una battaglia e non sono disposti a lesinare nemmeno un grammo di energia per centrare l’obiettivo. Il risultato? Non appena le porte si aprono e' guerra, in quanto gli obiettivi degli uni e degli altri collidono. Inutile dire che vale tutto, contro il principio della fisica che direbbe che se uno spazio è occupato da un corpo, non può essere occupato simultaneamente da un altro corpo.

Ma la fisica a volte non funziona. E qui siamo – manco a dirlo – a Belgrado. E’ difficile spiegare come sia possibile, ma certe volte, dopo dieci minuti buoni di attesa, la banchina è gremita. Caracollando lemme lemme, ecco un tram che arriva laggiù infondo. E’ pieno di gente, ovviamente, perché i passeggeri in attesa si sono accumulati. Ne scendono due, ne salgono diciannove: non so dove si mettano, forse c’è un doppio fondo. Ma alla fermata dopo, come per magia, ne scenderanno ancora tre e ne saliranno ventisette, e non capisci nemmeno da sopra dove finisca la gente. A Belgrado i mezzi pubblici – ammesso che passino – si fermano obbligatoriamente a tutte le “stazioni” (stanize, secondo la favella locale), a tutte le ore in tutte le condizioni atmosferiche. L’idea è quella di consentire ai passeggeri di scendere con calma ed evitando a chi aspetta di sbracciarsi alla fermata per richiamare l’attenzione del conducente. Ovviamente non e' necessario suonare il campanello per richiedere la fermata.

Ma non va sempre così liscia. Perché un po’ come le vecchiette di Milano, che si preparano dieci fermate prima per non rimanere ingabolate nel traffico umano, anche a Belgrado capita sempre di imbattersi in una stuola di imbecilli che si ferma giusto davanti all’apertura delle porte, con il risultato di produrre ingorghi e congestioni incredibili anche con il mezzo praticamente vuoto. Il sogno del passeggero medio belgradese in discesa, di fronte alle porte che si aprono, è quello di vedere due ali di passeggeri in salita che si allargano e di trovare un corridoio centrale per uscire e allontanarsi. Diciamo che sogna di essere Pirlo che sta per calciare un rigore a porta vuota.

E invece sa che all’apertura delle porte si sentirà un po’ come Pirlo ma quando batte una punizione da limite: troverà infatti a un metro dalle porte, una fitta barriera umana composta da sciure, vecchi, giovani e meno giovani, disposti uno accanto all’altro lunga praticamente tuta la lunghezza del tram. La conseguenza è che chi vuol scendere, una volta fatto l’ultimo scalino, non mette il piede a terra ma sulla caviglia del Pirlo prima, che nel frattempo si è infranto sulla barriera, che si e' aperta. Chi è in barriera invece, manco avesse sentito il fischio dell’arbitro, si scaraventa incontro al Pirlo di turno e agguanta il corrimano per salire, in barba ai cinquanta passeggeri che tentano di scendere. Anche qui è baruffa, tuttavia va detto che il tutto si svolge pacificamente: normalmente nessuno si fa male e nessuno si lamenta più di tanto.

Perché non ho descritto la metropolitana belgradese come ho fatto per le altre città? Semplice, perché a Belgrado l’unica linea metropolitana – lungimirante e capillare - collega A a B, con un’utilità difficilmente quantificabile. Ovviamente non l’ho mai presa, anche se passo praticamente tutti i giorni attraverso il sottopassaggio di una delle due fermate per attraversare un grosso incrocio.

E’ molto nuova e moderna, con indicazioni precise e bilingui. Ana la descrive così: “E’ l’ennesima grande opera di Milosevic, costosa, sfarzosa e inutile: l’unica che l’ha usata è Ceca per un video”. Ceca (per la cronaca si legge Zeza), tanto bella quanto artificiale, è una cantante dal passato vagamente burrascoso (è la ex moglie di Arkan) e con qualche problemino con la giustizia, che di tanto in tanto riaffiora. Non è impossibile pensare che la sfarzosa fermata di Vukov Spomenik (a dispetto del nome poco amichevole, è in realtà un parco grazioso che ospita una residenza universitaria e due statue, una di Vuk Karadizic, il quale riformo' l'alfabeto cirillico introducendo la variante serba, e una di Cirillo e Metodio, inventori dell’alfabeto glagolitico, il piu' antico alfabeto slavo conosciuto).

E ripensando alle curve di Ceca, la domanda sorge spontanea: ma perché i serbi, quando incrociano una bella serba, non si girano mai a guardarle il culo?

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