giovedì 22 gennaio 2009

NUMERO NOVE

QUELLI CHE…

Quelli che “ma il Maestro Pregadio rimane alla Corrida?...”
Quelli che se Mara Carfagna è un Ministro Italiano,
quelli che… perché Nina Moric non è un Ministro Croato?

Quelli che “le toghe rosse sono forcaiole e comuniste…”
Quelli che “quindi io non mi dimetto!”…
Quelli che rispondono “e allora perché dovrei dimettermi io?”…Oh yeah!

Quelli che Lucia Annunziata crede di essere Berlusconi…
Quelli che secondo me numero12 è De Ascentis…
Quelli che “ti stimo fratello!”

Quelle che camminavano con i tacchi a spillo da 12…
Quelle che eppure le strade di Belgrado erano ghiacciate…
Quelle che non sanno cosa farsene del femore! Oh yeah!

Quelle che indossano una fascia tricolore…
Quelle che “la neve? A Milano è andata meglio che a Marsiglia”
Quelle che …con tutto rispetto, ma è una gran soddisfazione?

Quelli che Cristina del Basso è al Grande Fratello…
Quelli che Franco Trentalance era alla Talpa…
Quelli che…ma non ci si poteva organizzare meglio? Oh Yeah!

Quelli che organizzano l’Expo,
quelli che vengono pagati come tranvieri,
quelli che gli vogliono chiudere pure l’aeroporto!

Quelli che Obama da quando e’ diventato presidente e’ brizzolato...
Quelli che “ Juan del Potro tira piu’ piano, diamine!”
Quelli che ammirano Ekaterina Rubleva, oh yeah!

Quelli che “Kakà resta e Shevchenko ha segnato all’Hannover!”
Quelli che Jovetic e’ un fenomeno,
Quelli che il campionato è riaperto!

Quelli che segnano in fuorigioco,
Quelli che “Totti gol!”
Quelli che “forza Napoli!”….oh yeah!

Quelli che Lorenzo del Grande Fratello vive a Belgrado,
Quelli che Beppe Severgnini verra’ a Belgrado,
Quelli che “che ci fai ancora in Italia?”,oh yeah!

Quelli che mi leggono da un pezzo,
Quelli che “sta cosa del “quelli che” l’hai già fatta!”
Quelli che “si lo so però mi piace!”…oh yeah!

Quelli che salutano cordialmente,
Quelli che ringraziano per l’attenzione…
Quelli che dicono “prego per l’attenzione!”

Quelli che “rompete le righe! Ma non le squadre”
Quelli che “non faceva ridere, vero?”
Quelli che “no, neanche un po’!” oh yeah!

lunedì 19 gennaio 2009

NUMERO OTTO

LE PROFONDE DIFFERENZE SUPERFICIALI

Dicesi Yugoslavia la “Slavia del sud”. Dicesi “serbo” lo slavo del sud di religione ortodossa. Dicesi “croato” lo slavo del sud di religione cattolica. Dicesi “bosgnacco” lo slavo del sud di religione musulmana (lascito turco). Dicesi “montenegrino” un serbo diplomatico (quando il referendum rese il Montenegro indipendente dalla Serbia, questa perse cinque ambasciatori - in città importanti tra cui Mosca - tutti di origine montenegrina). Dicesi “sloveno” il polentone della “Slavia del sud” (notoriamente lavoratore, contadino e ricco, ma inevitabilmente montanaro e cattolico: dicesi "Slovenia" la Svizzera della Yugoslavia). Dicesi “macedone” invece di uno slavo del sud che non si capisce bene cosa sia (un po’ serbo, un po’ croato, un po’ albanese, un po’ greco e un po’ bulgaro). Dicesi “kosovaro” un albanese musulmano che vive in Kosovo (lascito turco, ma anche Titino). Dicesi “albanese” un abitante dell’Albania.

Il “serbo” è notoriamente orgoglioso, nazionalista e cattivo. Il “croato” invece è saccente, arrogante e invidioso. Il “bosniaco” non brilla per intelletto: si chiama Mujo, è sposato con Fata, una donna di facili costumi, e ha un amico che si chiama Haso, che conosce bene anche Fata. Il “montenegrino” è pigro, scansafatiche, lento e svogliato. “Serbo”, “croato”, “bosgnacco” e “montenegrino” sostanzialmente parlano la stessa lingua (salvo alcuni localismi) e si capiscono senza problemi. Sono amici, spesso parenti, cenano e bevono assieme, viaggiano senza problemi attraverso le loro frontiere: tuttavia quando ma glielo si fa notare apertamente, in pubblico, litigano e, “per motivi politici”, non si capiscono più e non si vogliono più bene. Lo “sloveno” dal canto suo è tirchio e lavoro-dipendente. Il “macedone” balla e canta (“non cantare in Bosnia, non ballare in Serbia, non ballare e non cantare in Macedonia” dicono nei pressi del lago Ohrid, enfatizzando le loro capacità artistiche). "Lo sloveno e il macedone, per capirsi, devono parlare serbo". Il “kosovaro” invece non è benvisto in Serbia. E viceversa.

“Lo sai qual è la nazione più fortunata? L’Italia, perché è bagnata dall’Adriatico ma non confina con la Croazia” (origini slovene).

Le donne slovene sono bellissime, il problema è uno solo quando si va a letto con loro: non sai mai quando rientra il marito.

Lo sai qual è il record sui cento metri per il Montenegro? 67 metri. Sai come scendono dagli alberi i montenegrini? Si siedono su una foglia e aspettano l’autunno.

Fata cammina dieci metri avanti a Muio. Haso vede la scena e grida inferocito: “Muio, ma lo sai che secondo il Corano non dovresti lasciare la tua donna camminare dieci metri avanti a te?”. “Quando il Corano è stato scritto ancora non esistevano le mine-antiuomo” risponde Muio.

Muio torna dalla Germania dopo la guerra. Sale sulla sua nuova Mercedes e, lentamente e con la musica a tutto volume, gira lentamente per le strade di Sarajevo con tanto di finestrino aperto e braccio fuori. All’ennesimo passaggio l’amico Haso gli grida: “Muio, abbiamo capito che hai fatto i soldi e che hai la macchina, ma quella ce l’abbiamo anche noi, eppure non è che facciamo tutto ‘sto casino…”. “La macchina si ma il braccio no!” risponde Muio.

Muio normalmente picchia Fata ogni volta che rientra in casa: lei sa perché. E anche Haso lo sa.

Haso, cattolico, e Muio, musulmano, sono vicini di casa. Un bella domenica, Haso si sveglia di buon mattino e, vedendo lo splendido sole che batte su Sarajevo, decide di lavare la propria automobile. Muio lo vede dalla finestra e, per non essere da meno, comincia anche lui a lavare la sua automobile. Haso prende ora l’aspirapolvere e pulisce gli interni e i tappetini. Muio, per non essere da meno, prende anch’egli l’aspirapolvere e pulisce gli interni e i tappetini. Haso ora getta alcune gocce d’acqua sul parabrezza per lavarlo. Muio lo guarda, ci ragiona, poi prende il taglialegna e taglia il cofano della sua auto. Haso sente il rumore, strabuzza gli occhi e vede Muio che finisce di tagliare la parte anteriore della sua automobile. Haso è shockato e perpleso. Si avvicina a casa di Muio e gli chiede: “Come mai prima hai lavato la macchina e poi l’tagliata in due? Ma sei impazzito?”. Muio lo guarda e risponde soddisfatto: “Impazzito io? E perché mai? Ho solo visto che tu hai battezzato la tua macchina, così ho deciso di circoncidere la mia”.

Molto spesso non è semplice “rendere” le barzellette in una lingua straniera, specie quando i passaggi sono due: se addirittura gli sloveni ammettono che le barzellette in croato fanno più ridere di quelle in sloveno, figurarsi in italiano via inglese.

E non è semplice sorridere senza sapere gli stereotipi che ci stanno dietro. Non è semplice inserirsi nel contesto balcanico senza conoscere l’infinita sequela di retroscena. Tuttavia le barzellette sono un ottimo veicolo per entrare in contatto con le genti balcaniche, scoprendo molto del loro modo di essere e di fare, sempre pronte a sorridere di fronte a una buona barzelletta, indipendentemente dalla “vittima” dello sfottò.

Durante le tavolate conviviali “yugoslave” si canta tutti in coro tutte le canzoni provenienti da tutte le regioni – oggi nazioni – senza impelagarsi troppo in questioni politiche. Dopo qualche bicchiere, specie se i musicisti sono di origine zingara, i balcanici schizzano in pista e, disposti in cerchio, danzano per ore, seguendo i passi del capofila (“si paga un Euro per entrare nel “kolo – la danza popolare – e due Euro per uscirne”, mi diceva un italiano che vive qui da parecchio, sottolineando che dopo un po’ anche loro si stufano). Tra rakia, kolo e canti popolari, diviene difficile riconoscere le sei (ormai sette) nazioni nelle quali la Yugoslavia si è frantumata. Diventa difficile trovare differenze linguistiche, etniche e religiose, indipendente dall’età: che siano “senior” o “junior”, da queste parti ci si diverte con poco, gioendo delle piccole cose, ballano e cantano assieme senza porsi troppi problemi di “immagine” o quant’altro. Arroganza, orgoglio e nazionalismo scompaiono, lasciando spazio a risate, scherzi e barzellette.

Inevitabilmente si finisce per ricordare anche “i vecchi tempi: allora sì che si stava bene! Tutti ci rispettavano e con il nostro passaporto si poteva andare ovunque”. E ancora rispondono con aria perplessa e infastidita quando li si paragona ad alcuni dei vicini: “Beh, infondo in Bulgaria con la crisi del gas è andata peggio che non in Serbia” dicevo a una mia amica che rispondeva secca: “la Bulgaria? Ma per chi c’hai preso?”. Per un membro dell’Unione Europea. La Yugoslavia ancora “non si è allineata”. Scherzi del destino.

Mentre Obama si insedia alla Casa Bianca e l'Inter ne prende tre dall'Atalanta, io mi congedo, rinnovando l'appuntamento al prossimo numero!

giovedì 15 gennaio 2009

NUMERO SETTE

SRECNA NOVA GODINA, BELGRADO!

Chissà quanti femori sono partiti l’altra notte, chissà in quanti si saranno risvegliati con lividi sconosciuti e inspiegabili acciacchi vari, chissà quanti capitomboli e piroette…la pioggerellina apparentemente innocua del pomeriggio infatti, complice la temperatura scesa successivamente abbondantemente sotto lo zero, ha trasformato in una gigante pista da bob tutta la città. Specialmente gli infimi marciapiedi, rendendo problematico il rientro a casa di quanti erano usciti e – a suon di rachia – avevano celebrato l’avvento del nuovo anno (in accordo con il calendario ortodosso, si celebrava nella notte tra il 13 e il 14).

All’uscita dei locali gli allegri belgradesi barcollavano parecchio, e non solo per l’alcool: se i più intrepidi aggredivano il ghiaccio pattinando, molte donzelle prendevano a braccetto il cavaliere di turno, il quale realizzava che in certe condizioni gli stivali col tacco non sono un’idea geniale. Si camminava come pinguini, con passi corti e lenti e andatura guardinga: se sulle strade minori il ciglio della strada, più pulita in virtù del passaggio delle macchine, pareva essere una soluzione vincente, sulle arterie principali forse il marciapiede sembrava più raccomandabile (complice il tasso alcolico degli autisti e il rischio di sbandate, che aumenta in modo più che proporzionale con l’aumento della velocità). A parte una lunga sciata scendendo dall’autobus notturno conclusasi con un placcaggio alla pensilina della fermata (a proposito spero che la bigliettaia compri parecchie medicine con il resto di 31 dinari che mi ha negato per ragioni ancora oscure: non è il danno a darmi fastidio, si tratta di meno di mezzo euro, ma la beffa di essere “gabbato” in quanto straniero), la passeggiata verso casa è stata lenta, tranquilla e divertente. Complice l’assenza di alcool, che non attenua il freddo. Il problema e' ancora d'attualita', come riportava la free press questa mattina, e come pensavo mentre pattinavo in un vicoletto, salvato dalla pronta presa di un energico vecchiettino.

Nell’immaginario collettivo italico, l’Est Europa fa rima con freddo, gelo, palazzoni grigi squadrati, povertà diffusa, ultraricchezza concentrata nelle mani di pochi, chiese ortodosse, caratteri cirillici, falci e martelli, criminalità generalizzata, lunghe file nei mercati, ubriaconi colbacco-muniti e belle donne, generalmente alte, bionde e prive di cellulite, di facili costumi e discretamente venali. E poco importa che sia Lituania, Ungheria, Russia, Bucarest, Varsavia o Praga…infondo che differenza c’è?

Indubbiamente lo scenario innevato “fa molto est Europa” anche a Belgrado: le espressioni infreddolite delle genti serbe evidenziano oltremodo il carattere slavo dei volti. Mentre camminano per le strade, mentre aspettano i mezzi pubblici, mentre fanno la spesa nei mercati, mentre spazzano la neve dai marciapiedi (gli uomini con le pale, le donne con le scope), gli occhietti verdi o azzurri guadagnano vivacità, spiccando vispi tra berretti innevati, sciarpe e rughe che segnano la pelle chiara, che arrossisce intensamente in corrispondenza di guance e naso: le espressioni più peculiari albergano nei visi delle persone anziane, talvolta stanche e smarrite, talvolta pensierose e rabbuiate, talvolta sorridenti ed energiche.

Il sale viene solitamente distribuito a mano, un po’ come le mondine seminano il riso, mentre le strade sono sempre rimaste sostanzialmente pulite in virtù del passaggio degli spazzaneve: la circolazione di veicoli e mezzi pubblici è stata costantemente regolare. Durante le feste Belgrado sembrava Copenhagen: tutto era ordinato, in giro non c’era nessuno, i negozi erano chiusi, le strade silenziose, deserte e prive di traffico, il tutto avvolto nel bianco candore della neve, che è ormai diventata brutta, sporca di fango e nera a causa del rientro in città, dopo le vacanze natalizie, di traffico, disordine, rumore e confusione generale, che rendono nuovamente la città riconoscibile, nel suo carattere burrascoso, caotico, spigoloso e disorganizzato, ma anche vivo, colorito, colorato e spensierato.

Ed è sorprendentemente tornata anche la luce: l’audace politica energetica di Tadic (abile nell’ottenere gas da Ungheria e Germania per tamponare l’emergenza e generoso nell’offrire aiuto a Sarajevo, una volta che la situazione serba sembrava prossima alla normalità) e il (temporaneo?) disgelo tra Kiev e Mosca, permette infatti di illuminare nuovamente “a festa” il centro e i suoi addobbi natalizi, proprio a partire dall’ultimo giorno dell’anno serbo. E proprio ora che le feste sono finite.

Insomma si ricomincia: Srecna nova godina, Belgrado!

venerdì 9 gennaio 2009

NUMERO SEI

IL NATALE QUANDO ARRIVA ARRIVA…

Caro Babbo Natale,

come va? Come stai? E’ passato tanto tempo dall’ultima volta che ti ho scritto: forse sarai sorpreso nel ritrovarmi nel cuore dei Balcani dopo tanti anni, e sinceramente mi viene difficile riassumere in poche righe quello che mi è successo nel recente passato. Sono in ritardo, ma non di così tanto come si potrebbe pensare di primo acchitto: a Belgrado era Natale l’altro ieri.

Non ho regali da chiederti né promesse da farti, semplicemente da qualche giorno mi capita di pensare a te, così ho deciso di scriverti. Sinceramente non so dirti se sia stato bravo o cattivo negli ultimi tempi: ho cercato di fare del mio meglio e di impegnarmi, ho provato a cogliere al volo le occasioni che mi si sono presentate e ho altresì cercato di crearmene quante più possibile. Sono successe veramente tante cose, tante ne stanno succedendo e tante ne stanno per succedere. Sono cresciuto e sto crescendo, anche se l’età adulta la sento ancora lontana.

Tempo di Natale, tempo di bilanci di fine anno. Ebbene il 2008 è stato un anno veramente strano: è difficile descriverti quanto mi abbiano cambiato le esperienze danesi, montenegrine e belgradesi, ed è difficile descriverti quanto mi senta migliorato come persona, come uomo e come professionista. Ho conosciuto veramente tante persone, ho fatto tante cose, ho viaggiato molto e imparato tanto. Sento la mia vita completamente trasformata e contemporaneamente ancora in trasformazione.

Ma ancora ricordo il disagio di Febbraio quando, solo in una città straniera, “festeggiai” per la prima volta il compleanno “in solitaria”, improvvisamente pervaso dalla nostalgia per un’infanzia felice in cui si festeggiava a colpi di Fivelandia, immerso nel calore della mia famiglia in compagnia di un manipolo di amichetti. E pensando al Natale, il mio ricordo non può volare a quando, entusiasta, aprivo con mamma e papà il “baule di Natale” e tutti assieme si preparava albero e presepe: mi divertivo tanto, anche a prepararmi il mio presepe in cameretta, talvolta guarnito con macchinine e trattori, ma tanto che importa? Ancora ricordo con quanto entusiasmo ti scrivevo, lasciandoti la finestra aperta e una tazza di caffè per ritemprarti e farti rimanere sveglio, pronto a svegliarmi la mattina del 25, leggere la tua lettera, trovare la tazzina vuota e uno splendido regalo sotto l’albero: trenini e macchinine elettriche, i Masters, il Canta Tu, il ring per gli eroi del wrestling e via discorrendo. Ricordo anche le poesie e le canzoni che, imparate a scuola, esibivo durante l’infinita gustosa cena preparata da mamma, ricevendo in cambio applausi e mancette.

No, non guardare l’espressione triste, davvero non è il caso. Guardami piuttosto quando alla mattina mi sveglio con l’entusiasmo di chi è felice perché un nuovo giorno comincia. Di chi ha voglia di saltare, di fare, di correre, di volare. Di chi sorride alla donna delle pulizie, agli inservienti che in mensa preparano il cibo, alla vecchietta che rifiuta il posto sull’autobus, a chi prova a dare indicazioni senza una lingua comune. Regalo “grazie” e pacche sulle spalle a chiunque, provando a ridere e scherzare con tutti pensando che c’è gente che se la passa davvero peggio. Gente che mentre io ero nel pieno di un’infanzia felice, magari giocando coi soldatini, piangeva sotto i bombardamenti, perdendo familiari e amici (in un diabolico-reale “indovina chi”), gente che rimaneva mutilata per un salto strampalato su una mina antiuomo. Gente che al primo sguardo non si vede, ma che c’è. Ragazzi come me, che hanno avuto la sfortuna di nascere in Bosnia, in Hercegovina, in Serbia, in Kosovo.

E’ stato un Natale stranissimo, quest’ultimo. Correva infatti il 25 dicembre quando raggiungevo Ljubljana in treno per festeggiare Capo d’Anno, lasciando in Serbia un’atmosfera decisamente surreale: una nevicata consistente imbiancava una Belgrado completamente “feriale”. E ancora più surreale era l’atmosfera "festiva" belgradese del 7 gennaio al mio rientro: strade deserte e imbiancate, negozi chiusi, silenzio totale: con due settimane di ritardo rispetto a noi, il Natale arrivava anche in Serbia, regalando un po’ di tranquillità e pace anche all’irrequieta caotica iperattiva Belgrado.

Bene, caro Babbo Natale, la lettera volge al termine: se non ti sei addormentato venti righe fa probabilmente ti starai chiedendo il perché di tutto ciò. Ebbene volevo renderti partecipe dei pensieri che mi hanno accompagnato lungo l’infinita Croazia durante il viaggio in treno e per chiederti un piccolo regalo, qualora tu lo ritenga opportuno: vorrei un tele-salva-la-vita-Beghelli che mi ricordi quanto sia fortunato, vorrei un cicalino e una spia rossa che si attivino nei momenti in cui non mi rendo conto di cosa sia una sciocchezza. Perché troppo spesso mi dimentico di quanto io sia fortunato nell’disporre di un corpo sano e di un cervello discretamente funzionante, di avere una famiglia che mi vuol bene, che mi supporta (e sopporta!) e che crede in me, e, last but not least, di poter contare su diverse persone che mi ammirano, che mi vogliono veramente bene, che “so che sono lì” pronti a fare il tifo per me ovunque io sia e qualsiasi cosa io faccia. Persone che mi accettano per quello che sono e che credono in me.

Certo, se proprio volessi portare in Serbia un po’ di gas, non ti nascondo che potrebbe tornare utile, di questi tempi: magari si potrebbe ritornare a riscaldare i mezzi pubblici, a illuminare nuovamente la cattedrale di Santa Sava – desolatamente buia e cupa - e le vie del centro - in cui è svanito lo spirito natalizio - e riaprire le mense studentesche in centro città, chiuse per un po’ per mancanza di studenti - rientrati a casa per le feste – in parte per mancanza di energia – così come mi pareva di evincere dal cartello apposto all’ingresso.

Già che ci sono, ti allego il cv: se avessi bisogno di uno stagista penso di poterti e volerti dare una mano più che volentieri, infondo dopo Lituania, Russia, Romania, Danimarca e Serbia, un’esperienza in Finlandia nel mio cv non stonerebbe nemmeno un po’!

Un abbraccio, a presto, saluti alla Befana e alle renne. In fede,

Antonio

giovedì 8 gennaio 2009

NUMERO CINQUE

SREČNO ZDRAVO 2009!

Giaccone indossato, bottiglia pronta, stelle filanti alla mano: »dai, stappiamo, brindiamo e usciamo fuori a guardare i fuochi degli altri, ma che ora e'?«. Uno sguardo alla televisione e Borut Pahor, primo ministro, sta gia' brindando con ballerine e musicisti. Il cellulare e' impietoso: mezzanotte e due minuti: »Sbrighiamoci! Faccio saltare il tappo?«, «no«. Bum (in mano): »Auguri! Cin!«. Mentre in Cechia si festeggia la storica presidenza del Consiglio Europeo in Slovacchia arriva l'Euro, mentre la lituana Vilnius e l'austriaca Linz divengono Capitale Europea per la cultura, noi si rientra a casa perche' da queste parti fa molto piu' freddo che a Belgrado: i festeggiamenti per il nuovo anno volgono cosi al termine.

La domanda nasce spontanea: chi diavolo e' Borut Pahor? Ebbene, nonostante il nome, e' »il bello« della politica slovena, »l'uomo del dialogo« divenuto primo ministro poco piu' di un mese fa, allorche' le elezioni furono vinte dalla sinistra scalzarono dalla poltrona di primo ministro Janez Janša (presidente del Consiglio Europeo prima del signor Bruni), esponente del partito democratico sloveno (che da queste parti e' curiosamente collocato a destra) particolarmente noto alle cronache finlandesi a causa di uno scandalo di corruzione per la fornitura di blindati-Patria, produttore finlandese, a danno di un produttore canadese. Per la cronaca, sembra che i responsabili dalla parte finlandese siano stati imprigionati mentre in Slovenia piu' o meno tutti dormono sonni tranquilli: l'ex ministro della difesa Karel Erjavec, esponente del partito dei pensionati, rappresenta addirittura l'anello di congiunzione tra i due governi (attualmente governa il dicastero dell'ambiente).

A causa di una questione territoriale legata all'ampiezza della baia di Pirano, il Governo Pahor sta congelando il percorso di integrazione europea della Croazia: si tratta di 25 km di mare, che la Croazia vorrebbe risolvere con un arbitrato internazionale ma che la Slovenia, nonostante vari ammonimenti Europei, sta cocciutamente considerando la questione come »vitale interesse nazionale«. Sostanzialmente si tratta di un »pan per focaccia« in quanto Roma si comporto' in maniera simile nei confronti di Ljubljana: allora si trattava di garantire ai nostri connazionali il diritto di acquistare immobili in Slovenia, da sempre negato fin dai tempi Jugoslavi, il quale sembra essere particolarmente rilevante nel quadro del "mercato unico@ che l'Unione Europea rappresenta. Certo e' che le relazioni tra Italia e Slovenia non sono mai state troppo lineari: il dominio italico non e' mai andato giu' alle popolazioni slave che, nel secondo dopoguerra, non hanno esitare a sbattere nelle foibe una parte consistente della popolazione civile italiana. Tutt'oggi i media sloveni sono concentratissimi sull'evoluzione della tutela della minoranza slovena in Italia, considerata (probabilmente a torto) non sufficiente protetta (per dovere di cronaca vanno segnalate anche alcune tensioni con l'Austria, specie quando Haider fu governatore della Carinzia). Risale a pochi giorni fa l'idea di un incontro incontro di pacificazione tra Croazia, Italia e Slovenia, lanciato dal presidente croato Mesić, seccamente bocciato da Turk, presidente sloveno.

E' difficile raccontare la Slovenia, questo paese un po' austriaco, un po' italiano e un po' slavo (guai a dire »Yugo«, del Sud, in quanto da queste parti si guarda a Praga e a Bratislava piu' che a Belgrado e Zagabria). Il colpo d'occhio alpino e' sicuramente austriaco, cosi come parla tedesco l'intellighenzia slovena, tuttavia spostandosi sul mare, diviene difficile tracciare il confine con l'Italia, sia sul piano paesaggistico che su quello sociologico (lingua: spesso infatti nei menu la prima lingua straniera e' proprio la lingua di Dante, e non solo sulla costa, dove e' di pubblico dominio) in quanto anche Trieste (sbocco sul mare dell'Impero Austroungarico, citta' italiana storicamente sul confine con la Yugoslavia), infondo, rappresenta quella Mitteleuropa che include anche la Slovenia. Un paese slavo, cattolico, arroccato sulle sue tradizioni (anche culinarie) e di cultura: un paese agricolo e montanaro, in cui la gente »lavora« e parla fiera lo sloveno, favella riconducibile alle lingue slave del sud ma sufficientemente diversa dal serbo-croato (o quantomeno gli sloveni sono sufficientemente ricchi per sottolineare in ogni sede questa differenza linguistica).

Nel paese di Srečno Katanec (eroe dello scudetto doriano e della storiche qualificazioni slovene a euro 2000 e ai mondiali di calcio del 2002), di tele Capo d'Istria (Kopper in Sloveno) e dei celeberrimi bianchi cavalli di Lipica, non ci sono piu' ne' Yugo ne Zastava (ammesso che ci siano state) e le Dacia non sono mai arrivate: la ricchezza sembra distribuita omogeneamente (mancando un grosso centro) e anche l'immigrazione e' sostanzialmente minima (essenzialmente proveniente dai balcani, rilegata al mattone). Ai tempi della Jugoslavia la Slovenia era la »periferia ricca e sviluppata«, da sempre insofferente nella convivenza con i piu' rilassati slavi del sud: eppure esponenti di primissimo piano nel panorama politico Yugoslavo eraon sloveni, per esempio Kardelj (padre della costituzione del '74) e mezzo Tito. Certo e' che se la guerra altrove ha avuto effetti devastanti (in Bosnia per esempio lo scontro tra Serbi e Croati e' stato decisamente cruento) in Slovenia si e' trattato di un'operazione prevalentemente politica durata 10 giorni: »mi ricordo che normalmente noi andavamo in vacanza sulle coste croate ma un anno, a causa della guerra, andammo a Kranjska Gora«. Mentre i micronazionalismi slavi (ancora presenti, basta osservare gli ultimi avvenimenti, per esempio a Mitrovica) distruggevano un paese lasciando sul campo morti, feriti e invalidi nelle fila della gente comune spaccando intere famiglie, in Slovenia il problema era la meta della vacanza. Coesa e caparbia, la comunita' slovena cominciava un lungo cammino che l'ha portata nell'Unione Europea e alla moneta unica.

Ma quando i giovani sloveni (che faticano a trovare punti in comune con il resto dei Balcani) vanno nel »sud«, all'improvviso ritrovano la loro infanzia nei cioccolatini e nelle caramelle croate, sparite dai banchi dei supermercati sloveni, sostituite da quelle svizzere, italiane e tedesche. E Kraš non e' solo un'azienda dolciaria, ma e' anche album, figurine e giochi che continuano a far sorridere le nuove generazioni croate, serbe, montenegrine, macedoni e bosniache, cosi come un tempo accadeva anche attorno a Ljubljana, graziosa capitale tascabile di questo paese di 2 milioni di abitanti - il Lussemburgo infondo non e' poi cosi piccolo! - ma capace di ottenere ben cinque medaglie agli ultimi giochi olimpici (con la stessa proporzione l'Italia avrebbe dovuto ottenerne piu di 120, a spanne), la Slovenia se ne sta li, a dieci ore da Belgrado, con la sua atmosfera rilassata e tranquilla. Provare per credere.