giovedì 8 gennaio 2009

NUMERO CINQUE

SREČNO ZDRAVO 2009!

Giaccone indossato, bottiglia pronta, stelle filanti alla mano: »dai, stappiamo, brindiamo e usciamo fuori a guardare i fuochi degli altri, ma che ora e'?«. Uno sguardo alla televisione e Borut Pahor, primo ministro, sta gia' brindando con ballerine e musicisti. Il cellulare e' impietoso: mezzanotte e due minuti: »Sbrighiamoci! Faccio saltare il tappo?«, «no«. Bum (in mano): »Auguri! Cin!«. Mentre in Cechia si festeggia la storica presidenza del Consiglio Europeo in Slovacchia arriva l'Euro, mentre la lituana Vilnius e l'austriaca Linz divengono Capitale Europea per la cultura, noi si rientra a casa perche' da queste parti fa molto piu' freddo che a Belgrado: i festeggiamenti per il nuovo anno volgono cosi al termine.

La domanda nasce spontanea: chi diavolo e' Borut Pahor? Ebbene, nonostante il nome, e' »il bello« della politica slovena, »l'uomo del dialogo« divenuto primo ministro poco piu' di un mese fa, allorche' le elezioni furono vinte dalla sinistra scalzarono dalla poltrona di primo ministro Janez Janša (presidente del Consiglio Europeo prima del signor Bruni), esponente del partito democratico sloveno (che da queste parti e' curiosamente collocato a destra) particolarmente noto alle cronache finlandesi a causa di uno scandalo di corruzione per la fornitura di blindati-Patria, produttore finlandese, a danno di un produttore canadese. Per la cronaca, sembra che i responsabili dalla parte finlandese siano stati imprigionati mentre in Slovenia piu' o meno tutti dormono sonni tranquilli: l'ex ministro della difesa Karel Erjavec, esponente del partito dei pensionati, rappresenta addirittura l'anello di congiunzione tra i due governi (attualmente governa il dicastero dell'ambiente).

A causa di una questione territoriale legata all'ampiezza della baia di Pirano, il Governo Pahor sta congelando il percorso di integrazione europea della Croazia: si tratta di 25 km di mare, che la Croazia vorrebbe risolvere con un arbitrato internazionale ma che la Slovenia, nonostante vari ammonimenti Europei, sta cocciutamente considerando la questione come »vitale interesse nazionale«. Sostanzialmente si tratta di un »pan per focaccia« in quanto Roma si comporto' in maniera simile nei confronti di Ljubljana: allora si trattava di garantire ai nostri connazionali il diritto di acquistare immobili in Slovenia, da sempre negato fin dai tempi Jugoslavi, il quale sembra essere particolarmente rilevante nel quadro del "mercato unico@ che l'Unione Europea rappresenta. Certo e' che le relazioni tra Italia e Slovenia non sono mai state troppo lineari: il dominio italico non e' mai andato giu' alle popolazioni slave che, nel secondo dopoguerra, non hanno esitare a sbattere nelle foibe una parte consistente della popolazione civile italiana. Tutt'oggi i media sloveni sono concentratissimi sull'evoluzione della tutela della minoranza slovena in Italia, considerata (probabilmente a torto) non sufficiente protetta (per dovere di cronaca vanno segnalate anche alcune tensioni con l'Austria, specie quando Haider fu governatore della Carinzia). Risale a pochi giorni fa l'idea di un incontro incontro di pacificazione tra Croazia, Italia e Slovenia, lanciato dal presidente croato Mesić, seccamente bocciato da Turk, presidente sloveno.

E' difficile raccontare la Slovenia, questo paese un po' austriaco, un po' italiano e un po' slavo (guai a dire »Yugo«, del Sud, in quanto da queste parti si guarda a Praga e a Bratislava piu' che a Belgrado e Zagabria). Il colpo d'occhio alpino e' sicuramente austriaco, cosi come parla tedesco l'intellighenzia slovena, tuttavia spostandosi sul mare, diviene difficile tracciare il confine con l'Italia, sia sul piano paesaggistico che su quello sociologico (lingua: spesso infatti nei menu la prima lingua straniera e' proprio la lingua di Dante, e non solo sulla costa, dove e' di pubblico dominio) in quanto anche Trieste (sbocco sul mare dell'Impero Austroungarico, citta' italiana storicamente sul confine con la Yugoslavia), infondo, rappresenta quella Mitteleuropa che include anche la Slovenia. Un paese slavo, cattolico, arroccato sulle sue tradizioni (anche culinarie) e di cultura: un paese agricolo e montanaro, in cui la gente »lavora« e parla fiera lo sloveno, favella riconducibile alle lingue slave del sud ma sufficientemente diversa dal serbo-croato (o quantomeno gli sloveni sono sufficientemente ricchi per sottolineare in ogni sede questa differenza linguistica).

Nel paese di Srečno Katanec (eroe dello scudetto doriano e della storiche qualificazioni slovene a euro 2000 e ai mondiali di calcio del 2002), di tele Capo d'Istria (Kopper in Sloveno) e dei celeberrimi bianchi cavalli di Lipica, non ci sono piu' ne' Yugo ne Zastava (ammesso che ci siano state) e le Dacia non sono mai arrivate: la ricchezza sembra distribuita omogeneamente (mancando un grosso centro) e anche l'immigrazione e' sostanzialmente minima (essenzialmente proveniente dai balcani, rilegata al mattone). Ai tempi della Jugoslavia la Slovenia era la »periferia ricca e sviluppata«, da sempre insofferente nella convivenza con i piu' rilassati slavi del sud: eppure esponenti di primissimo piano nel panorama politico Yugoslavo eraon sloveni, per esempio Kardelj (padre della costituzione del '74) e mezzo Tito. Certo e' che se la guerra altrove ha avuto effetti devastanti (in Bosnia per esempio lo scontro tra Serbi e Croati e' stato decisamente cruento) in Slovenia si e' trattato di un'operazione prevalentemente politica durata 10 giorni: »mi ricordo che normalmente noi andavamo in vacanza sulle coste croate ma un anno, a causa della guerra, andammo a Kranjska Gora«. Mentre i micronazionalismi slavi (ancora presenti, basta osservare gli ultimi avvenimenti, per esempio a Mitrovica) distruggevano un paese lasciando sul campo morti, feriti e invalidi nelle fila della gente comune spaccando intere famiglie, in Slovenia il problema era la meta della vacanza. Coesa e caparbia, la comunita' slovena cominciava un lungo cammino che l'ha portata nell'Unione Europea e alla moneta unica.

Ma quando i giovani sloveni (che faticano a trovare punti in comune con il resto dei Balcani) vanno nel »sud«, all'improvviso ritrovano la loro infanzia nei cioccolatini e nelle caramelle croate, sparite dai banchi dei supermercati sloveni, sostituite da quelle svizzere, italiane e tedesche. E Kraš non e' solo un'azienda dolciaria, ma e' anche album, figurine e giochi che continuano a far sorridere le nuove generazioni croate, serbe, montenegrine, macedoni e bosniache, cosi come un tempo accadeva anche attorno a Ljubljana, graziosa capitale tascabile di questo paese di 2 milioni di abitanti - il Lussemburgo infondo non e' poi cosi piccolo! - ma capace di ottenere ben cinque medaglie agli ultimi giochi olimpici (con la stessa proporzione l'Italia avrebbe dovuto ottenerne piu di 120, a spanne), la Slovenia se ne sta li, a dieci ore da Belgrado, con la sua atmosfera rilassata e tranquilla. Provare per credere.

1 commento:

Agni ha detto...

Ma non capisco niente!! :)