giovedì 15 gennaio 2009

NUMERO SETTE

SRECNA NOVA GODINA, BELGRADO!

Chissà quanti femori sono partiti l’altra notte, chissà in quanti si saranno risvegliati con lividi sconosciuti e inspiegabili acciacchi vari, chissà quanti capitomboli e piroette…la pioggerellina apparentemente innocua del pomeriggio infatti, complice la temperatura scesa successivamente abbondantemente sotto lo zero, ha trasformato in una gigante pista da bob tutta la città. Specialmente gli infimi marciapiedi, rendendo problematico il rientro a casa di quanti erano usciti e – a suon di rachia – avevano celebrato l’avvento del nuovo anno (in accordo con il calendario ortodosso, si celebrava nella notte tra il 13 e il 14).

All’uscita dei locali gli allegri belgradesi barcollavano parecchio, e non solo per l’alcool: se i più intrepidi aggredivano il ghiaccio pattinando, molte donzelle prendevano a braccetto il cavaliere di turno, il quale realizzava che in certe condizioni gli stivali col tacco non sono un’idea geniale. Si camminava come pinguini, con passi corti e lenti e andatura guardinga: se sulle strade minori il ciglio della strada, più pulita in virtù del passaggio delle macchine, pareva essere una soluzione vincente, sulle arterie principali forse il marciapiede sembrava più raccomandabile (complice il tasso alcolico degli autisti e il rischio di sbandate, che aumenta in modo più che proporzionale con l’aumento della velocità). A parte una lunga sciata scendendo dall’autobus notturno conclusasi con un placcaggio alla pensilina della fermata (a proposito spero che la bigliettaia compri parecchie medicine con il resto di 31 dinari che mi ha negato per ragioni ancora oscure: non è il danno a darmi fastidio, si tratta di meno di mezzo euro, ma la beffa di essere “gabbato” in quanto straniero), la passeggiata verso casa è stata lenta, tranquilla e divertente. Complice l’assenza di alcool, che non attenua il freddo. Il problema e' ancora d'attualita', come riportava la free press questa mattina, e come pensavo mentre pattinavo in un vicoletto, salvato dalla pronta presa di un energico vecchiettino.

Nell’immaginario collettivo italico, l’Est Europa fa rima con freddo, gelo, palazzoni grigi squadrati, povertà diffusa, ultraricchezza concentrata nelle mani di pochi, chiese ortodosse, caratteri cirillici, falci e martelli, criminalità generalizzata, lunghe file nei mercati, ubriaconi colbacco-muniti e belle donne, generalmente alte, bionde e prive di cellulite, di facili costumi e discretamente venali. E poco importa che sia Lituania, Ungheria, Russia, Bucarest, Varsavia o Praga…infondo che differenza c’è?

Indubbiamente lo scenario innevato “fa molto est Europa” anche a Belgrado: le espressioni infreddolite delle genti serbe evidenziano oltremodo il carattere slavo dei volti. Mentre camminano per le strade, mentre aspettano i mezzi pubblici, mentre fanno la spesa nei mercati, mentre spazzano la neve dai marciapiedi (gli uomini con le pale, le donne con le scope), gli occhietti verdi o azzurri guadagnano vivacità, spiccando vispi tra berretti innevati, sciarpe e rughe che segnano la pelle chiara, che arrossisce intensamente in corrispondenza di guance e naso: le espressioni più peculiari albergano nei visi delle persone anziane, talvolta stanche e smarrite, talvolta pensierose e rabbuiate, talvolta sorridenti ed energiche.

Il sale viene solitamente distribuito a mano, un po’ come le mondine seminano il riso, mentre le strade sono sempre rimaste sostanzialmente pulite in virtù del passaggio degli spazzaneve: la circolazione di veicoli e mezzi pubblici è stata costantemente regolare. Durante le feste Belgrado sembrava Copenhagen: tutto era ordinato, in giro non c’era nessuno, i negozi erano chiusi, le strade silenziose, deserte e prive di traffico, il tutto avvolto nel bianco candore della neve, che è ormai diventata brutta, sporca di fango e nera a causa del rientro in città, dopo le vacanze natalizie, di traffico, disordine, rumore e confusione generale, che rendono nuovamente la città riconoscibile, nel suo carattere burrascoso, caotico, spigoloso e disorganizzato, ma anche vivo, colorito, colorato e spensierato.

Ed è sorprendentemente tornata anche la luce: l’audace politica energetica di Tadic (abile nell’ottenere gas da Ungheria e Germania per tamponare l’emergenza e generoso nell’offrire aiuto a Sarajevo, una volta che la situazione serba sembrava prossima alla normalità) e il (temporaneo?) disgelo tra Kiev e Mosca, permette infatti di illuminare nuovamente “a festa” il centro e i suoi addobbi natalizi, proprio a partire dall’ultimo giorno dell’anno serbo. E proprio ora che le feste sono finite.

Insomma si ricomincia: Srecna nova godina, Belgrado!

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