venerdì 13 febbraio 2009

NUMERO DODICI

SPACCATO DI VITA BELGRADESE

Tru tru tru…plin plin plin…tru tru tru…”Ok, ti ho sentito, sono pronto!”…Sono grossomodo le 9.10 / 9.15 quando suona la sveglia del cellulare: la giornata media del tipico borsista italiano a Belgrado comincia. Apro gli occhi (a volte nella speranza di non svegliarmi dove mi sveglio), mi alzo, vado in bagno: non ho molto tempo, sicché inforco un jeans e un maglione a caso e mi fiondo giù, tesserina e “jeton” alla mano, per la colazione (c’è tempo fino alle 9.30).

Un piano di scale, venti metri di passeggiata in cortile (l’aria fresca aiuta nello svegliarsi) e dritto in mensa, nella speranza che ci sia la mitica Eurocrem: in alternativa miele o marmellata. Se proprio il piatto piange, si va “alla serba”, per cui uovo fritto oppure homelette oppure wurstel. Se anche il piano B fallisce, giù di affettato e formaggio. Sostanzialmente con la mia “cartiza” (tessera dello studente, che tra le altre cose da diritto a una serie di sconti) si può prendere una sola delle pietanze finora elencate, cui si possono accompagnare due tazze (te o latte) oppure una tazza e uno yogurt, più pane a volontà. Generalmente sorrido alle inservienti, sbilanciandomi in improbabili conversazioni che il più delle volte si fermano al “dobro jutro” (buon mattino). Alla fine del corridoio, c’è un’inserviente che prende la tessera, “scala una colazione”, riceve il “jeton”, rendendo in cambio le posate e la tessera stessa. Tempo di sedersi, mangiare e riconsegnare il tutto in cucina, ricevendo in cambio della cortesia, il “jeton” di cui sopra (ottenuto in cambio di una cauzione di 200 dinari, pagata alla “blagaina”, la cassa nella quale lavora Zorana, ribattezzata dal mio ex compagno di stanza Jan “the cow” per la sua disponibilità e apertura mentale).

E’ tempo di tornare in stanza, fare una doccia, e conversare con la donna delle pulizie: – Dobro jutro, kako si? – Dobro, hvala. Ti? – Dobro!” (non traduco, penso che ce la puoi fare anche da solo). C’è un solo ragazzo della security che mastica un po’ di inglese: con lui uno sfottà non manca mai, nemmeno quando non si tiene in piedi dal sonno (cosa che gli capita spesso, come a tutti i serbi).

Collezionati armi a bagagli, nel giro di mezz’ora (dopo un’attesa variabile) il filobus numero 40 mi porta dritto all’Istituto Italiano di cultura: entro in mediateca, saluta Ivano, Marina e Branco e mi siedo al computer. Email, Facebook e Corriere, giusto per capire che aria tira in giro, poi le varie newsletters di informazione sui Balcani, infine “varie ed eventuali” fino al pranzo.

Normalmente torno a casa (alla mensa di cui sopra), oppure raggiungo una delle altre mense universitarie: una zuppa, un piatto caldo, una piatto di verdure (freddo), un dolce (alternativa un frutto o un succo) e pane a volontà: la procedura è la stessa del mattino, con la differenza che la fila per accedere al cibo varia dagli zero ai quaranta minuti. Riconsegnati i piatti e riottenuto il gettone, si torna in Istituto, al solito computer in mediateca: se c’è bisogno do una mano in Istituto, se no si naviga fino al tardo pomeriggio, quando vado verso una palestra per sottoporre il test (da bravo un ricercatore) ai pallavolisti belgradesi, categorie juniori e juniorke.

Prima o dopo della palestra (dipende dall’orario) c’è la cena, che ricalca il pranzo, ma senza la zuppa. Una volta a casa, normalmente “carico” i risultati dei test, faccio “due cose” al pc (che ne so, il blog?), magari lavo due panni mano e lentamente mi preparo ad andare a dormire.

Sostanzialmente tre volte al mese ricarico la tessera con dieci colazioni, dieci pranzi e dieci cene (mi costano 1090 dinari, corrispondenti a circa 11 Euro), per ricaricare la tessera si va dal “cow” di cui sopra. La qualità del cibo, benché vari in base al giorno e al ristorante, non è certamente eccelsa, tuttavia è mediamente ragionevole: generalmente mangio sempre tutto, rendendomi conto – certe volte – di mangiare anche il cibo che i serbi lasciano schizzinosamente nel piatto (“la guerra è finita” penso tragicomicamente…).

Hanno un grosso pregio gli studenti serbi: mangiano in fretta. Sicché anche quando le file sono chilometriche si trova sempre agilmente un posto a sedere, anche nelle mense affollate e piccole. Hanno però un difetto: quando le file sono lunghe, lo studente “furbo” si toglie il cappotto “occupando” un posto. Sicché quando hai finalmente hai finalmente il vassoio pieno – magari dopo mezz’ora di coda – tra le mani, sei li che giri per la mensa come un’idiota, tra sedie occupate dai cappotti di chi è appena arrivato in sala e che mangerà tra mezz’ora, se tutto va bene, perché la fila nel frattempo si è allungata a dismisura. Normalmente, da buon italiano, “me ne sbatto” e mi siedo, pronto a sorridere, nel caso, scusandosi giocando la carta dello “straniero”.

Le alternative alla routine ci sono, e spaziano dalle lezioni (una volta a settimana, alla facoltà di scienze politiche: seguo un corso in public administration and policy, tenuto da un docente americano) fino alle incursioni di Federico, il mio amico italiano con il quale spesso mi concedo delle pause a base di caffè e chiacchiere allo stato puro: checché se ne dica, gli italiani hanno bisogno di altri italiani, in certi momenti, per parlare “in italiano” e “all’italiana”. Normalmente Federico è il mio compagno di battaglie durante i weekend quando, con alterne fortune, si cerca svago nella movida belgradese. Lo scorso weekend ho anche provato a inserire nuovamente nella mia routine gli allenamenti: sono andato a correre per due giorni di fila in una pista di fronte allo studentato nel quale vivo. Due sessioni da un’ora cadauna che mi han fatto camminare “come un egiziano” fino a mercoledì.

Oggi è venerdì, Federico è ancora in Italia sicché le prospettive per il weekend non sembrano certo esaltanti, nonostante il derby di domenica: i giorni liberi saranno addirittura tre in quanto la festa nazionale viene in qualche modo spostata a lunedì in quanto cadeva di domenica. Per giunta nevica, per cui niente allenamenti. E l’Istituto Italiano di Cultura è chiuso, per cui niente internet. A casa non ho nemmeno la televisione. Mi sento a mezza via tra il pensionato e lo scandinavo: qualcosa mi dice che domattina sentirò la mancanza del tru tru tru…

1 commento:

Agni ha detto...

bravo, mi e' piaciuto. E finalmente ho capito tutto :)