martedì 19 maggio 2009

NUMERO VENTITRE'

AMARO IN BOCCA. NON E’ JEGERMEISTER NE’ MONTENEGRO

E’ una sensazione che conosco, ci son già passato. Detestare una città, soffrirla, odiarla. E rendersi conto di trovarcisi bene quando ormai è tempo di preparare armi e bagagli. Viaggiare apre la mente e mettere in fila esperienze di vita in giro per l’Europa è simultaneamente entusiasmante e interessante. Dà stimoli, fa crescere, allarga le vedute.

Sinceramente la mia vita non mi dispiace: anche se ovviamente non sono solo rose e fiori. Saltare di città in città dopo un po’ logora. Ogni volta che si ricomincia ci si butta a capofitto in una nuova avventura, in una nuova realtà e gli stimoli certo non mancano: non mancano energie, curiosità e voglia di cominciare. Ma allo stesso tempo logora perché ambientarsi è faticoso e richiede tempo, pazienza e una buona dose di fegato. Lo sforzo ovviamente si monetizza nella prospettiva di lungo periodo, che al momento manca (sto infatti saltando di nazione in nazione, di città in città nel giro di relativamente pochi mesi e non certo in condizioni da pashà).

Mi sento anche un po’ sfortunato, perché devo ammettere che Belgrado è anche divertente, specie di notte. Sfortunato perché da un mese a questa parte mi manca un socio, una spalla, uno che mi segua, uno che abbia voglia di divertirsi con me. Quello che avevo si è praticamente “sposato”. Ogni volta che gli propongo di uscire ha sonno, invita sistematicamente la donna in casa e preparano assieme i dolci e le torte (è molto entusiasta di aver comprato una bilancia per dosare gli ingredienti ed è molto orgoglioso di quanto i dolci gli vengano bene: devo ammettere che ha ragione ed è veramente bravo a cucinare). Non esce mai e quando esce è sonnolento: passata la mezzanotte è coprifuoco, sicché si torna a casa. Alzi la mano chi non ha mai visto una parabola simile su almeno uno dei suoi amici.

Se dovessi partire domani, riporterei la sensazione di non aver vissuto fino in fondo questa città. Di non essermi divertito abbastanza. Di non essermi goduto fino infondo lo Stefan Braun e il Tramvaij (due discobar carini e ben frequentati). Ce l’ho messa tutta, mi sono impegnato, ma tutto sembrava essere contro di me. In tutte le precedenti avventure oltralpe, son sempre riuscito a combinare il lavoro, la produttività, con il divertimento. Cosa impossibile a Belgrado: città ricca di possibilità di svago ma nella quale lavorare è tendenzialmente impossibile. La produttività in un certo senso non è mancata, ma il paradossale prezzo pagato è la cancellazione dello svago dalla mia agenda. Cosa che mi dispiace. Capita, non si può avere tutto.

E capisco anche la differenza tra il mio punto di vista critico sulla città e quello apologeta degli altri italiani. Loro vivono con stipendi italiani, cosa che permette abbastanza agilmente di far la bella vita bypassando in scioltezza le criticità del sistema. Cosa che gli permette anche di coniugare produttività e divertimento. A stipendi italiani si vive in centro, si ha una casa propria, si mangia fuori se si ha voglia, ci si muove in taxi. Con le borse di studio del governo serbo si vive in uno studentato (non esattamente in centro), si mangia nelle mense universitarie e si vive in una camera doppia con uno straniero.

Certamente tu starai pensando che“Lo studentato però è pieno di studenti, il che offre dei vantaggi…”. Si, ma è pieno di studenti serbi. Studenti che arrivano dalla campagna, che faticano a parlare inglese con gli stranieri (a propositoin Serbia gli stranieri sono “strangers” e non “foreigners”) e che non concepiscono l’inglese con accento italiano. Studenti che, viste le origini paesane, non sembra vero di vedere così tanti altri giovani (serbi) tutti assieme. Studenti per cui è probabilmente costoso anche lo stare fuori di casa, il non-lavorare per studiare. Studenti che se non tengono una buona media vengono espulsi dallo studentato (il che rappresenta una tragedia per le loro finanze). Studenti che perciò trovi in aula studio nelle ore più assurde (a mezzanotte di sabato, alle quattro di mattina di domenica). Studenti che non si rendono conto che uno straniero possa studiare in Serbia anche senza parlar serbo (per la mia inchiesta è sufficiente un formulario tradotto!). Studenti che raramente escono dallo studentato, studenti che passano i loro pomeriggi e le loro serate giocando a pallavolo nel cortile, parlando sistematicamente in serbo, ascoltando musica serba, bevendo birra coi serbi. Non per niente siamo in Serbia.

Con tutto il rispetto, cosa avrò mai da spartire io con un ragazzetto di Kraguievac? Di Valjevo? Di Vranje? Di che parlo con questa gente qua? Di Copenhagen? Di Europa? O dei venti anni che separano Belgrado dal resto d’Europa? Se vuoi essere amico dei serbi devi fargli complimenti: loro sono capaci di fare tutto e qualsiasi cosa tu sappia fare loro la sanno fare meglio di te: quando parli non ti ascoltano nemmeno, hanno già capito, per cui ti liquidano relativamente con un rassicurante “nema problema”.

Ma quando senti “nema problema” preparati, il problema ci sarà e si presenterà quando meno te lo aspetti, cioè quando lui dovrà fare ciò che gli hai chiesto, qualsiasi cosa sia. E lui o non ha capito, o fa finta di non capire. In ogni caso non muoverà un dito. Ovviamente la causa di tutti i mali serbi e' esterna, e sono i bombardamenti: sì, hanno causato anche il cambiamento climatico, come mi diceva una cara amica serba.

C’è delusione e anche un po’ di stanchezza in queste righe. Sabato c’era la “Notte dei Musei” qui a Belgrado, una sorta di notte bianca con musei, eventi e mostre in giro per la città. Mentre raggiungevo l’Istituto per un breve turno di supporto, pensavo a cosa fa rimpiangere Bucarest una volta giunti a Belgrado. Un’ora e cinque minuti per coprire 4.5km circa è un tempo interessante: abito vicino a una piazza capolinea di tre linee di filobus, che non sono partiti per più di 35’. Quelli che partivano non raccoglievano i passeggeri ma puntavano dritto al garage. Nessuna spiegazione, nessun avviso, niente di niente. Solo tanti serbi che accettavano passivamente il tutto. Le quattro linee di metropolitana di Bucarest rimangono un sogno per Roma e una remota chimera per Belgrado.

Amen.

martedì 12 maggio 2009

NUMERO VENTIDUE

BUCAREST, BELGRADO, KIEV E IL SILLOGISMO ARISTOTELICO

Circa trent’anni, barba incolta, sorriso spontaneo e battuta pronta: Marco vive a Kiev, ma è venuto a Belgrado in vacanza. Noi tutti pendiamo dalle sue labbra, ponendogli migliaia di domande sulla vita in Ucraina, sugli ucraini e soprattutto ovviamente sulle ucraine. E lui non riesce a sputar fuori una sola cosa positiva né della città né delle sue genti Ha vissuto a Belgrado per nove mesi, gli manca e la rimpiange.

Io invece non avrei mai avrei pensato di rimpiangere Bucarest. Poi sono venuto a Belgrado.

Pensa Kiev, diranno i miei lettori piu' arguti: “Bucarest sta a Belgrado come Belgrado sta a Kiev quindi Bucarest sta a Kiev…”

No, ragazzi, no: il sillogismo aristotelico è inverosimile. La domanda che mi faccio è piuttosto un’altra: riuscirò a rimpiangere anche la Serbia? E cosa rimpiangere di Belgrado? Il sistema dei mezzi di trasporto? L’umiltà? L’ “apertura mentale”? L’efficienza cronica?

E ragiono su quanto siano influenti le aspettative nelle esperienze all’estero (ma forse nelle esperienze in genere). E mi tornano in mente le parole di Marco: “Dopo aver vissuto a Belgrado, sono andato in Albania, ma nemmeno a Tirana, a Scutari, mica a Los Angeles, prima di andare a Kiev: pensare che ho fatto di tutto per andarci, stravedevo per l’Ucraina. Quindici giorni fa ho deciso che Kiev non fa per me e che gli ucraini non mi piacciono, mentre prima mi dicevo “boh, forse sono io…”. Sono chiusi, maleducati ed è impossibile farci amicizia: tutti gli stranieri che conosco non si trovano bene e non hanno amici ucraini, anche quelli che vivono lì da un pezzo e che si sono anche sposati…”.

In Romania imparai che sarebbe bene non farsi troppe aspettative prima di partire per l’estero: arrivai in Lituania senza aspettative e fu un trionfo, arrivai a Bucarest carico di aspettative e furono alti e bassi, arrivai a Copenhagen con qualche aspettativa e rimasi sorpreso del vedere deluse le aspettative ma nel trovare sorprese laddove le aspettative mancavano. Prima di partire per la Serbia sapevo benissimo che bisogna girare alla larga dalle aspettative, ma probabilmente lo sapeva anche Marco prima di partire per Kiev, ma ci siamo cascati entrambi. Facile a dirsi ma non a farsi, mi viene da pensare.

E ragiono infatti sul pre-partenza serbo, ripensando ai dieci contatti che avevo in Serbia: tutti ragazzi conosciuti in giro per seminari in Europa, ragazzi con i quali ci si ritrovava a far casino assieme, alla faccia degli smorti scandinavi e degli ubriaconi tedeschi. Ragazzi con il comune spirito “sud europeo”, con i quali ci si trovava bene. Ragazzi che ti avevano dipinto Belgrado come una città capace di vivere la vita e di divertirsi, una città che non dorme mai, una città festaiola, ricca di vita notturna. Una città nella quale ti troverai benissimo, ragazzi con i quali mi ero lasciato con un “dai, ci vediamo a Belgrado…”.

Ragazzi che non si son piu' visti, ragazzi che sono spariti, ragazzi che non hanno mai chiamato, ragazzi che se li hai chiamati non ti hanno risposto.

Ragazzi che evidentemente “hanno sempre da fare”: ma che cazzo avranno mai da fare i
belgradesi se a Belgrado non funziona niente? Che fanno i belgradesi? Niente. Anzi, una cosa la fanno: bevono il caffè (le piante si annaffiano con l’acqua, i belgradesi bevono il caffé). Belgrado è una città basata sul caffè (e allora mi chiedo se anche le piante vengano annaffiate col caffé). Ragazzi che evidentemente bevono caffè, ma a cui evidentemente non importa di berlo con te (tanto in qualche modo te la caverai). Secondo me non è la cattiveria il problema, il problema è evidentemente ai simpatici serbi pesa anche scrivere un sms, un messaggio su Facebook o fare una telefonata di invito. Diciamo che se non hai voglia di fare un cazzo, Belgrado è la città che fa per te e i belgradesi ti piaceranno.

Domenica in un parco cittadino scoprivo il modo in cui i serbi vanno sui roller-blade: una volta indossati, si aggrappano al motorino guidato da un amico e – respirando a pieni polmoni il gas di scarico – se la viaggiano sulla pista ciclabile.

Non è esattamente salutare ma vuoi mettere l’energia che sprecherebbero per pattinare?