venerdì 6 febbraio 2009

NUMERO DIECI

E RICEVEVA MESSAGGI DI AUGURI IN QUASI TUTTE LE LINGUE DEL MONDO...

Mai avrei pensato di ricevere settantasette messaggi provenienti da 20 nazioni in dieci differenti lingue: ovviamente con la complicita' di Facebook.

Ebbene si, il fantastico mondo di Facebook, a metà strada tra reale e virtuale, rende bizzarro anche il semplice compiere gli anni. I più sinceri messaggi degli amici di lunga data si mescolano con il semplice “auguri” che infondo costa poco a chi si è semplicemente ritrovato in un angolo del monitor un simpatico promemoria. Gli “hope you are doing well” di chi hai incontrato fugacemente in un seminario in Germania si alternano con il comprensibile “in qualunque parte del mondo tu sia” opera di chi fa giustamente fatica a seguire tutti gli spostamenti. Alcuni preferiscono usare l’idioma-madre (azero o macedone che sia), altri ripiegano sull’internazionale inglese: ex colleghi, amanti mancate, semplici conoscenti, compagni di università, di palestra, di bevute. Le rimpatriate “come ai vecchi tempi” ormai non si contano più, sicché anche i compagni delle medie e delle elementari – ritornati improvvisamente alla ribalta - si lanciano in improbabili (sicuramente piacevoli) “facci sapere quando torni in Italia così organizziamo una pizza e ci racconti tutto…”. Mamma, che realisticamente ha perso la speranza, se la ride sotto i baffi.

“Fai compleanno oggi? Come Vlade Divac!” sorride Sasa (per la cronaca, il gigante serbo li compie un giorno dopo): Spomenka sorride, ti guarda e ti chiede quanti anni, mentre ti afferra le orecchie tirandole verso l’alto, gradualmente ma in un colpo solo. “Che ho fatto di male? - ti domandi ricordando i tempi in cui le orecchie si tiravano ai “bambini monelli” – “che non le piacciono i Ferrero Rocher?” Ma quando anche nella stanza adiacente Ivana te le tira nello stesso modo, realizzi che in Serbia si usa così: in Istituto gli inaspettati cioccolatini sembrano essere stati apprezzati all’unanimità. Storia di un compleanno itinerante: due anni fa era Romania, un anno fa Danimarca, questo anno tocca alla Serbia. Chissà l’anno prossimo: ovviamente non oso immaginarlo. E nemmeno mamma.

Diciamo pure che festeggiare la morte che si avvicina non è mai stata una mia priorità. Anzi, il pensiero di invecchiare tradizionalmente gettava un velo di tristezza anche nelle mie personali celebrazioni per il nuovo anno, con il pensiero che volava all’imminente compleanno, nel giro di un mese abbondante. Compiere ventisette anni senza sentirseli addosso, essere orgoglioso per ciò che si è fatto anche se in realtà “si è ancora a zero, come la farina”. Certezze zero, idee tante: voglia ed energia “a mille”, prospettive tangibili minime. Mentre la crisi internazionale dipinge scenari imprevedibili, il tempo passa inesorabile sulla mia povera testolina, che lentamente diviene sempre più calva: da qualche settimana ho anche un’ombra bianca nella barba, all’altezza del mento. Che l’età adulta si stia impossessando di me? Sarebbe ora, direbbe mamma.

Mi scappa una risata bonaria se ripenso al malessere che provai l’indomani della festa di laurea, quando riaccompagnai alla stazione mio cugino Stefano, salito appositamente a Milano, che ripartiva per Roma: ritornando in macchina verso casa, totalmente soprappensiero, piazzai un’inchiodata di fronte a un semaforo rosso assolutamente sfuggito alla mia attenzione. Smarrimento post-laurea, conclusione di una fase della vita, inizio della transizione verso l’età adulta. Questa volta la stazione non era la Centrale, a partire non era mio cugino Stefano, la destinazione non era Roma e le celebrazioni non riguardavano la laurea. Per giunta in sottofondo Mariah Carey cantava “Cheeeenliiiiiiiiiiii”. Una singolare sensazione attraversava la mia testolina. Come porsi di fronte a chi si spara dodici ore di treno per venire a trovarti e festeggiare il tuo compleanno in una città straniera, varcando due confini, per “non lasciarti solo”? Che forse dovresti salire su quel treno? Mamma annuirebbe convinta.

Sinceramente non lo so. Quello che so è che anche a Belgrado la lista delle “mai avrei pensato di…” si è allungata. Per esempio al Hala Sportova (arena dello sport) di Novi Beograd in cui, più o meno casualmente, mi son ritrovato seduto al tavolo segnapunti in un incontro amichevole di volley femminile tra due squadre di serie A (il che significa una categoria sotto la Super Liga serba). O quando, assieme a Federico, siamo entrati allo Sport Café chiedendo di vedere Milan-Bologna: il cameriere, come fosse la cosa piu' normale del mondo, ha sintonizzato appositamente per noi due televisori – in mezzo a una marea di schermi – in corrispondenza del nostro tavolo sulla partita prescelta. E già che ci siamo, aggiungo che mai avrei pensato di gioire per un gol di Beckham (per giunta in maglia rossonera). E mai avrei pensato di perdere due chili in mezz'ora, com'e' accaduto oggi in un incredibilmente caldo mattino belgradese: il filobus numero quaranta diventava infatti sauna per via del riscaldamento "a tavoletta". Con fuori almeno quindici gradi, in un soleggiato mattino di febbraio. Alle Canarie? No, a Belgrado. Cose che capitano. Chi l'avrebbe mai detto?

1 commento:

Agni ha detto...

bravo Antonio..interessante