lunedì 9 marzo 2009

NUMERO QUINDICI

IO PROFESSORE? POVERA ITALIA...E POVERA SERBIA!

L’epiteto “professore” accanto al tuo nome suona veramente strano e anche il sentirselo ripetere più e più volte non aiuta. Di fronte al sorriso smarrito, la Direttrice sorride bonaria: “capita a tutti!”, “beh…insomma” penso, assumendo il mio punto di vista di ventisettenne pievese. L’auditorium della facoltà di architettura conferisce solennità all’evento, anche se la platea è sparuta: alla presentazione dei corsi di italiano ci sono infatti ventuno studenti. “Soliti chiacchieroni serbi” dico tra me e me, ripensando ai criteri di selezione, numeri chiusi e tre gruppi totali spalmati su due livelli, di cui si era parlato con il supermegadirettoregalattico della facoltà, più altri responsabili vari, qualche giorno prima.

La procedura di iscrizione ai corsi alla facoltà di architettura è altamente tecnologica: una teca con il nome dell’esame viene piazzata in un corridoio e tenuta li per due o tre giorni cosicché gli studenti interessati possano compilare un modulo, ovviamente a mano, e imbucarlo. Alla chiusura delle iscrizioni, nella teca del corso di italiano, ne abbiamo trovate 250, decisamente al di sopra della più rosea aspettativa: “conoscono i loro polli” pensi, rimangiandoti la miscredenza post-presentazione. Zoran, professore e responsabile delle relazioni internazionali della facoltà è entusiasta e incredulo: con il sorriso di un bambino chiama la Direttrice dandole gioioso la notizia. La telefonata si chiude con un “sarà un successo!”.

Il fatto che siamo già abbondantemente in Marzo e il semestre sia cominciato dal 16 febbraio non influenza minimamente il modo di fare serbo: non rimandare a domani ciò che puoi far dopodomani, sicché il “take it easy” diviene anche la mia filosofia, durante l’intensa “tre giorni” di lavoro per scremare le iscrizioni fino al numero massimo di 60 studenti (cifra forse irrisoria rispetto alle iscrizioni ma molto maggiore rispetto ai 45 posto prospettati all’inizio), risultato di un tour de force volto a cominciare le lezioni fin da lunedì. Ovviamente non se ne parla: posso solo immaginare quanto mi toccherà faticare per rincorrere il preside, farmi accettare l’offerta e risolvere le ultime questioni relative a prenotazione dell’aula e partenza delle lezioni.

La burocrazia, il verticismo, la non-voglia di lavorare e la lentezza del sistema italiano sono bazzecole. Qua tutti sono tranquilli e rilassati: d’altra parte dopo Tito, la crisi economica, il dopo-Tito, la guerra e le sanzioni, non hanno paura più di niente e, nel loro fatalismo, sanno che se la caveranno, per cui adottano la filosofia del “minimo sforzo”. - Una volta sono entrato in un negozio – racconta Giovanni - cercando una vernice. Mentre curiosavo tra gli scaffali la commessa alza lo sguardo dal giornale e mi chiede: “Serve qualcosa?”. E io: ”No, perché?”. E lei mi fa: “Mi scusi”, poi abbassa la testa ricominciando a leggere. “Ma secondo te che ci sono venuto a fare nel negozio? Il turista?”. E lei: “E che ne so io?”. Mentre il Milan usciva ingloriosamente dalla UEFA, Luigi rincarava la dose: “- Il toner!!! Quando si esaurisce il toner tu dove vai a comprarlo? Nel negozio in cui hai comprato la stampante, giusto? Bene, io ci sono andato e c’era un ragazzo mezzo addormentato. “Che ce l’avete il toner per la stampante?” gli dico il modello. Lui mi guarda e mi fa “no”. “Ma come no? L’ho comprata qui…E lui “Non ce l’abbiamo”. “Non puoi ordinarlo?”. “No”. “Sai dove posso trovarlo? Qua vicino, in zona…”.”No”. “Ma com’è possibile che non ce l’avete? Vendete ancora materiale per l’ufficio!”. “Non abbiamo più quella marca”. “E quella cos’è?”.”Ah, non lo sapevo”. “Chiama qualcuno, fai qualcosa”. Fa un paio di telefonate, parla in serbo e non capisco. Dopo un po’ mi dice “Niente da fare”. “Ma come? Non c’è il tuo capo qui?”. “Passa a mezzogiorno e chiedi di Dejan”. A mezzogiorno incontro sto Dejan e gli chiedo “Che ce l’avete il toner? Ho comprato una stampante qui un po’ di tempo fa, ora avrei bisogno del toner”. “Che modello?” Gli dico il modello, fa una telefonata, lo ordina e mi dice di ripassare in due giorni. A sta gente qua non gli va di fare un cazzo”. Impressione che mi confermava l’operatore Caritas in Bosnia Hercegovina e Serbia, che – sabato assieme a un gruppetto di italiani - mi raccontava di una cena abbondante con una ventina di persone:”Gli abbiamo ordinato di tutto, poiché però il prebranac (sorta di fagiolata, ndr) era piaciuta, ho chiesto al cameriere di portarcene ancora. “No, dopo arrivano la carne, l’insalata, il dolce…”. “Non mi interessa, siamo in venti, ci è piaciuta, ne vogliamo un altro giro, te la paghiamo”. Niente da fare: non aveva voglia di prepararla e di servire un ulteriore giro”. “Qua non hanno il senso della “responsabilità”, a tutti i livelli “scaricano i problemi” sul superiore”. Che però normalmente è impossibile da reperire, in virtù del rigido verticismo gerarchico sul quale si struttura la società serba, che tira a campare imperniata sul principio del minimo mezzo.

Chi non fa niente è efficace, perché raggiunge l’obiettivo del non far niente, ed efficiente, in quanto non spreca alcuna risorsa per centrare l’obiettivo: dopo una sorta di evoluzione darwiniana sociale, la società serba sembra imperniata su questo concetto. Per cui i problemi non si affrontano ma si rimandano, tanto infondo ci sarà tempo per risolvere il problema. Mi diceva Zoran che nei condomini, quando si rovina il tetto (come anche quando si rompe l’ascensore), le uniche persone interessate sono quelle che abitano ai piani alti e nessuno è disposto a collaborare alle spese. Per cui se l’inquilino dell’ultimo piano ha i soldi, si carica le spese del rifacimento tetto, in cambio della costruzione di un piano aggiuntivo, che raddoppia il valore del suo appartamento: i coinquilini accettano, infondo che gliene importa a loro? Se invece il povero inquilino non ha i soldi necessari, vende, normalmente ai palazzinari stranieri, che a quel punto comprano tutti gli appartamenti dell’ultimo piano, si accollano le spese del tetto e aggiungono uno o due ulteriori piani, eventualmente riparando anche l’ascensore e costruendo anche un terrazzo.

Un’email di un ammiratore di lungo periodo mi chiedeva perché su DanimarcAntonio (www.danimarcantonio.blogspot.com) e Cronache Lituane (www.cronachelituane.blogspot.com), firmavo i post mentre qui in Serbia non lo faccio più: e allora riecco la firma!

USS – Un Sacco Serbo

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