lunedì 9 febbraio 2009

NUMERO UNDICI

VENERDI’ TOSCANO: AMSTERDAM, DOSTOJEVSKI E IL VIBRATORE

Gabriele e' un simpatico livornese dall’approccio cosmopolita e dall’aria bonaria: è il presidente di Italiamo, una scuola di italiano per stranieri con una trentina di sedi in Italia e all’estero. Si trova di passaggio a Belgrado, destinazione Ucraina e Romania: il suo intento è quello di permettere agli studenti belgradesi di studiare nelle sue scuole offrendo tariffe vantaggiose e alcune borse di studio. E’ venerdì pomeriggio e su Belgrado splende il sole: in Istituto non c’è molto da fare, sicché ci si ritrova a bere un caffè aspettando la lettrice, con la quale lui e' riuscito a rimediare un appuntamento per presentare la sua attivita'. Una lunga piacevole chiacchierata si conclude con lo scambio dei numeri: “chiamami stasera che magari si esce!”. Alla fine si è usciti, destinazione il celeberrimo splav Amsterdam.

Splav. Ai più questa parola non suggerisce niente, e i più ovviamente hanno ragione, tuttavia questa è una parola capace di mettere i brividi. Specialmente a chi gli splav li ha provati. Perché? Che cazzo sono gli splav? A parte che ci si potrebbe esprimere anche con un po’ di garbo, comunque gli splav sono delle chiatte sul Danubio che fungono da bar e ristoranti in orario diurno per trasformarsi in sale da ballo in orario notturno. Fuori dalla finestra si vede la città riflessa sul fiume, all’interno invece c’è musica dal vivo e anche l’ambientazione pare discretamente curata. Si beve, si danza, si canta, si ride e si scherza, il tutto a prezzi ragionevoli. Ovunque ci sono scollature da capogiro e tettone enormi: vere o false? Ma chissenefrega!

Sembrerebbe un “mondo perfetto” specialmente per noi italiani, che difficilmente riusciamo a mettere in piedi un ragionamento rudimentale anche solo immaginando le forme di Cristina Del Basso. Il fatto è che se non sei né jugoslavo né sordo, la possibilità di godersi una piacevole serata si riduce, in compenso il rischio di frantumarsi i coglioni (chiedo scusa per la scurrilità) è veramente alto. Perché? Perché ovviamente la musica dal vivo spazia dal rock serbo-yugoslavo alla musica leggera serba-yugoslava, dalla musica dance serba-yugoslava fino alle canzonette della tradizione popolare serba-yugoslava, dallo ska serbo-yugoslavo fino al pop serbo-yugoslavo. La risultante è che tutte queste canzoni serbe-yugoslave diventano ben presto tutte dannatamente uguali: la gente, in compenso, le conosce tutte a memoria, se la canta, se la balla, se la ride, si diverte e se le gode. Dopo mezz’ora, non si hanno occhi che per il Culo marmoreo della cubista, ovviamente sproporzionatamente procace sul davanzale.

Giusto per capirci: l’omologo italico degli splav potrebbe idealmente collocarsi a Roma (capitale, come Belgrafo) sul Tevere (il fiume della capitale). Il vantaggio sarebbe quello di avere sullo sfondo Castel Sant’Angelo anziché San Sava (con tutto rispetto, vuoi mettere?). Lo svantaggio? Il doversi sorbire un’orchestra dal vivo che spara uno dopo l’altro “i grandi classici della musica italiana”, con canzoni presi da diverse epoche, diverse regioni e diversi generi, un po’ come accade nei matrimoni ma con l’aggiunta di qualcosa di relativamente più moderno e qualcosa di relativamente più antico. Ricchi e Poveri, Peppino di Capri, i cori degli Alpini, Ligabue, Celentano, Gigi d’Agostino, Raoul Casadei, Nino D’Angelo, i Tazenda, Bruno Lauzi, ‘Nduccio, Negramaro, Raffaella Carrà, Tiziano Ferro, Nilla Pizzi: un po' come la colonna sonora di “ballando con le stelle” ma solo con pezzi italiani. Ecco: il massimo del divertimento serbo sta nelle nostre feste di paese.

Se Alessandro, fedele “scudiere” nella “missione” di Gabriele, ha lasciato gli occhi sulle tette di una moretta niente male, Gabriele sta fumando una sigaretta prima di risalire in macchina: siamo nella vietta di accesso a un parcheggio, giusto a pochi passi dal fiume.

Accelerata, inchiodata, botto: la moto striscia a terra per oltre venti metri lasciando la classica striscia d’olio, il motociclista rovina al suolo, ovviamente senza casco, evitando per poco l’impatto con le auto parcheggiate. Un nugolo di persone, noi compresi, si avvicina al ragazzo che rimane cosciente, nonostante gli sanguini la testa, all’altezza della fronte. Alcune ragazze, visibilmente preoccupate e shockate, fanno allontanare tutti, lo sollevano da terra mettendolo in qualche modo seduto: hanno un cellulare, fanno alcune chiamate, ma non si capisce bene chi stiano chiamando. Un’ambulanza? Ratko, una sorta di “Virgilio serbo” di Gabriele, dice di no: i ragazzi sono studenti di medicina e si conoscono tutti. “Come fai a saperlo?” chiede Alessandro: “Che forse capisca le conversazioni?” replica sorridendo Gabriele. In un minuto il ragazzo si alza e, con un’andatura caracollante ma non troppo considerando il botto, va a sincerarsi delle condizioni della moto.

L’idiota – come direbbe Dostojevskj - non aveva visto la sbarra dell’uscita del parcheggio abbassata, aveva accelerato e poi frenato di colpo, perdendo il controllo della moto. Sfoderando una sensibilità dubbia nei confronti della situazione, noi ci si gira “come girasoli” per salutare il passaggio di tre altre fanciulle che rientrano verso casa. Mentre noi ci si chiede se abbia sbattuto con la testa alla sbarra (la mia risposta è no, la sbarra è pulita: inoltre sarebbe morto!), l’idiota sale in macchina con le aspiranti dottoresse (tra l’altro “molto bone” si osserva dal nostro punto di vista, ma forse messe maluccio per star dietro a un idiota così) che escono dal parcheggio e lo portano via. E anche noi si sale in macchina, anche senza essere aspiranti dottoresse, pronti al rientro a casa.

Due curve ed ecco una pattuglia della polizia. "Secondo me ci fermano": detto fatto, il vibratore che il poliziotto ha in mano si illumina di rosso. Gabriele non si scompone e immediatamente mostra il passaporto: "I am Italian". Ratko chiede se deve tradurre, Gabriele dice di no "E' bene che pensi che siamo stranieri". Ecco che mostra anche patente e carta di circolazione. "Did you drink something?" chiede il poliziotto, "no" ribatte secco Gabriele. Il poliziotto rende i documenti e saluta.

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