martedì 17 febbraio 2009

NUMERO TREDICI

IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO. E LO SPIFFERO

Telefonata. - Mà, Sai che domani sera vado al concerto di Ennio Morricone? – Perché è ancora vivo? – Speriamo di si – Perché? – Perché se no chi suona domani? – Dai, pensavo fosse morto…

Pensandoci bene, un concerto di Morricone sta a un ragazzo di Pieve come il caviale sta a un bambino somalo: d’altra Pieve Emanuele è un paese dove già se sai la tabellina del sette dimostri un certo livello culturale, figurarsi Morricone. Anche se poi tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo canticchiato o fischiettato “tanaaaanananananananananananaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaatanananananananananananananaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa”…E tutti lo riconosciamo al volo. Anche a Pieve.

La città era tappezzata di manifesti pubblicitari, sicché i circa ottomila (forse anche di più) biglietti venduti (con prezzi medi attorno ai 30 Euro, non proprio a buon mercato) erano forse prevedibili e rappresentano una cospicuo bottino per gli organizzatori. Le tribune sono gremite, quello che negli stadi è il “prato” ovviamente anche: pochi sparuti gruppi affollano il secondo (ed ultimo) anello, probabilmente la zona più economica. Era forse prevedibile anche questo, considerando che il pubblico che va a sentire Morricone è generalmente colto, benestante e appassionato di musica, per cui interessato a godersi la performance dalla migliore postazione possibile senza lesinare qualche qualche dinaro per ritrovarsi in piccionaia. Tra il primo e il secondo anello c’è una serie di box, delle specie di palchetti, sui quali prende posto il gotha della “Belgrado bene”: c’è chi fuma, chi beve e chi guarda la televisione. Televisione, ma sei sicuro? Forse ci sarà un monitor per godersi il concerto al meglio, con inquadrature che catturano i dettagli… No, ti ho detto televisione e intendevo dire televisione, con tanto di cartoni animati e partite di calcio.

Gli applausi partono più o meno a casaccio, specie all’inizio, quando il chitarrista solista che funge da rompighiaccio ne riceve uno a ogni “girata di pagina”. E anche i tecnici, saliti per preparare gli strumenti per l’orchestra – dopo l’apertura – ne rimediano uno, divenuto discretamente fragoroso una volta capito l’errore.

Circa centocinquanta coristi – serbi, uomini e donne – fanno da cornice superiore ai circa cento musicisti giunti dall’Italia, inclusa la brava cantante solista. Acustica perfetta e musicisti di prim’ordine: anche l’orecchio poco allenato si lascia trasportare dalla musica, anche perché la melodia spesso suona familiare. Chiudendo gli occhi si vedono cavalli, cow boy e Clint Eastwood che entra in un saloon dopo una sparatoria: quando parte il “tanaaaanananananananananananaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaatanananananananananananananaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa” è pura pelle d’oca, con i ricordi dei soldatini dell’infanzia, che tornano prepotentemente alla ribalta, con in sottofondo il deserto, il sole caldo in un infuocato mezzogiorno, le pistole col colpo in canna, gli stivali con tanto di speroni.

Se per i danesi la peggior punizione è obbligarli a parlare (ancora ricordo i saggi di fine anno delle scuole di danza con un surreale e probabilmente fuori luogo, silenzio che rimbombava nella palestra tra un’esibizione e l’altra), la peggior punizione per i serbi è farli star zitti, anche se sta suonando uno che ha un Oscar sul comodino: immancabile la tipica “pausa caffè” a metà concerto e il tipico “spiffero serbo”, che soffia lungo le gradinate. Che cos’è lo spiffero serbo? Chi ha vissuto in Serbia sa esattamente di cosa sto parlando.

Appena arrivato a Belgrado avevo “la testa” del letto all’angolo tra due finestre: quando la bella stagione cominciava a cedere il passo all’autunno, la bora cominciava a soffiare sulla mia testolina, sicché ho spostato il letto più “a sud”. Pensavo che lo “spiffero” fosse tipico del Rifat Burgevic (lo studentato nel quale vivo), in realtà Federico mi diceva che, appena arrivato nella nuova casa, aveva anche lui il problema dello spiffero, sicché ha chiamato dei tecnici per risolverlo. Bene, due energumeni dall’odore interessante gli sono entrati in casa puntando direttamente il divano: l’infelice idea di offrire un caffè prolungava la seduta di oltre due ore. Dopo dodici ore di lavoro, la finestra si apriva più da destra verso sinistra ma da sinistra verso destra. Federico, tutto contento, andava a dormire, svegliandosi l’indomani con la felice scoperta che lo spiffero, seguendo la teoria darwiniana, si è adattato per cui, al posto di soffiare da sinistra a destra, soffia da destra verso sinistra. La sua donna invece ha installato le doppie finestre per risolvere il problema: ogni tanto però lo spiffero lo sente ancora.

Mai sottovalutare le potenzialità dello spiffero serbo: questa settimana è addirittura riuscito a spostare a lunedì la festa nazionale (curiosamente lo stesso giorno di quella lituana!) in quanto il quindici era domenica. E forse sarà stato proprio lo spiffero serbo a deviare la traiettoria del pallone sul braccio di Adriano, consentendo al pifferaio Rosetti, forse il primo essere umano ipnotizzato da un serpente, di convalidare un gol che manco la Juve dei tempi d’oro: l’ovazione dello sport café saluta il raddoppio di Stankovic, “ma anche” (come direbbe Crozza) e il gol di Pato, sebbene con meno intensità. E chissà che bandiera batte lo spiffero che sposta Pippo in fuorigioco, precisamente sanzionato dall’impeccabile e bravissimo pifferaio Rosetti: il gol, pur essendo irregolare, rimane più bello di quello di Adriano. E se uno stupido spiffero non avesse spostato sul piedone di Julio Cesar il diagonale di Pippo allo scadere…

Maledetti spifferi.

1 commento:

Agni ha detto...

bravo bravo che ti riccordi quando c'e; un giorno di Independenza di Lituania :)